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Ti premi con il cibo? Ecco quello che non sai sulla fame emotiva

fame emotiva massimo tomassini Dec 09, 2021
Breaters_Ti premi con il cibo? Ecco quello che non sai sulla fame emotiva

Far seguire un premio o una punizione a un determinato comportamento è un’idea che nella nostra cultura si associa inevitabilmente all’immagine del bastone e della carota, e, in una prospettiva un po’ più sofisticata, alla teoria del riflesso condizionato.

È un’idea che ci accompagna fin dalla più tenera età e che è così radicata in noi da farci sentire in credito, in molti casi, quando “ci comportiamo bene” e la vita non ci dà le soddisfazioni che vorremmo, vivendo la mancata gratificazione come una punizione che proviene dai “piani superiori”.

 

Il riflesso condizionato: il cane di Pavlov

 

Sul piano dell’osservazione scientifica, c’è un esempio classico: il cane di Pavlov.  La sua bocca si riempie di saliva quando si trova davanti a una scodella di cibo. Se l’astuto sperimentatore suona una campanella ogni volta che presenta il cibo, il cane associa cibo e campana e, dopo varie ripetizioni del doppio stimolo,  emette saliva anche quando la campana suona ma il cibo non c’è. 

Molte teorie comportamentiste sono solo nient’altro che un raffinamento di questa teoria e funzionano egregiamente in sofisticate operazioni di marketing e pubblicità rivolte agli umani su larga scala.   

(Leggi anche: I comportamenti impulsivi sono scelte consapevoli?)

 

La spinta gentile

 

La recente teoria del nudge  (la “spinta gentile”), utilizzata da politici di stampo democratico è, da questo punto di vista, un caso estremo. Il cittadino di fronte a questioni come pagare le tasse o trattare intelligentemente i rifiuti non riceve minacce di sanzioni ma solo piccole spinte motivazionali (es. messaggi ben argomentati) che non si traducono in premi ma solo in anonimi riconoscimenti morali del valore dei comportamenti virtuosi.

 

Come si formano le nostre immagini premio/punizione?

 

Nella psiche individuale la questione si pone in modo diverso e piuttosto complesso, su piani che smentiscono gli schemi comportamentisti. Nel nostro apparato psichico – per seguire, solo per un attimo, schemi di tipo psicoanalitico – gli stimoli più elementari si trasformano in tracce mnestiche (immagini mentali) che  interagiscono tra loro seguendo modelli autonomi rispetto agli stimoli (in cui gli stimoli sono funzionali alle abitudini acquisite, per esempio, e non viceversa).

(Leggi anche: Abbuffate e fame nervosa: come gestire i sensi di colpa?)

 

Come percepiamo premio e punizione

 

Il rapporto del soggetto con la propria realtà e quindi mediato da fattori psichici che assegnano ai diversi oggetti della realtà significati e valori determinati dalle dinamiche psichiche, strettamente legate anche a fattori culturali e intersoggettivi. 

Ciò che per l’animale è invariabilmente un premio o una punizione per l’umano può essere l’una o l’altra cosa, e, per effetto di dinamiche del tutto inconsce o debolmente consapevolizzate, assumere indifferentemente l’uno o l’altro valore. 

 

Il cibo come premio

 

Un tipico esempio in questo campo è offerto dal cibo assunto in modo occasionale come “premio” che il soggetto si concede. Un premio che molto spesso è una compensazione rispetto a un’istanza dolorosa (un’insoddisfazione, un senso di inadeguatezza, etc..) o una semplice ripetizione di un gesto di auto-compiacimento, come un premio una tantum (che spesso si trasforma in emolumento fisso). 

(Leggi anche: Perché sotto stress preferiamo i cibi dolci?)

 

Premio, punizione o entrambe?

 

Ovviamente la dinamica inconscia può essere di segno opposto: non si tratta di un premio ma di una punizione comminata dal “tiranno interiore” che condanna a ripetere qualcosa che razionalmente il soggetto riconosce come negativo.  

 

Un premio che rende infelici

 

Le cause di questa strana condanna a un premio che rende infelici possono essere di varia natura, spesso non giustificabili sul piano dei fatti, del tipo: “non sei come dovresti essere”;  “sei colpevole di...”; “sei in preda di sentimenti e emozioni sbagliate o riprovevoli”; etc..

(Leggi anche: Cibo ed emozioni: gustiamo realmente ciò che mangiamo?)

Inoltre, e qui si verifica qualcosa che in termini logici è contraddittorio ma nel funzionamento della mente umana accade molto spesso, il “tiranno interiore” esprime una condanna anche riguardo al “premio”. L’ingiunzione è del tipo “dovresti smetterla di concederti questi stupidi premi, non vedi che effetto hanno?”

 

È più forte di me…

 

La vita in questi casi di doppia condanna diventa penosa. La più ovvia delle  vie d’uscita è quella di superare la coazione a attribuirsi il premio semplicemente rifiutandolo, ovvero cercando di imporsi una regola di astensione. Ma quando la coazione è troppo forte questa non è una via d’uscita. Un percorso diverso è quello di riconoscere l’origine della fame emotiva che spinge al premio, non le sue manifestazioni.

Il che equivale a riconoscere il ruolo del tiranno interiore. In alcuni casi attraverso il ricorso a una psicoterapia o una psicoanalisi. In altri casi  ponendo la questione del tiranno interiore su un orizzonte più ampio, intraprendendo la via della pratica meditativa.

 

Una via d’uscita: la pratica meditativa

 

Una pratica che basa la propria forza sulla capacità di “dare la parola” al tiranno interiore, di farlo esprimere, di ascoltare gli echi delle sue intimazioni nelle nostre sensazioni e emozioni. Una pratica animata dall’intenzione di comprendere la questione su un piano che è personale (il praticante è una persona con la sua storia e le sue irripetibili caratteristiche).

Ma che allo stesso tempo è anche impersonale, laddove la pratica consente di vedere il “tiranno interiore” come frutto di condizionamenti cui ogni umano soggiace e che in alcuni casi si aggrovigliano più che in altri.

 

Sciogliamo i nostri nodi interiori

 

Grovigli che possono essere visti, proprio grazie alla pratica della meditazione di consapevolezza, e sciolti, in una postura  di silenzio e di “partecipazione non coinvolta” (unentangled participation), avvolgendo la propria sofferenza di quella compassione,  di quella gentilezza (self compassion and kindness) e di quella accettazione di sé che si apprendono grazie alla meditazione di matrice mindfulness, assumendo così un nuovo atteggiamento di fronte a una delle infinite varianti del nostro “essere umani”.

(Leggi anche: La meditazione è necessaria per un’alimentazione consapevole?)