Accedi

I comportamenti impulsivi sono scelte consapevoli?

fame emotiva rossella messina Nov 30, 2021
Breaters_I comportamenti impulsivi sono scelte consapevoli?

Tra le caratteristiche che descrivono il mangiatore compulsivo, una importante, forse quella fondamentale, che potrebbe indurre uno specialista a poter fare una diagnosi di disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder) è che la persona percepisca di non sentirsi in controllo mentre attua dei comportamenti sregolati rispetto all’assunzione di cibo. Che si percepisca, cioè, incapace di dire basta al cibo nei momenti in cui l’impulso si manifesta, nonostante sappia che quell’azione è dannosa e al costo di una notevole sofferenza successiva.

Perché non riesco a fermarmi?

Molti di noi riferiscono infatti la sensazione di non riuscire a smettere di mangiare durante un episodio di abbuffata. A me succedeva anche al supermercato. Sapevo che stavo comprando qualcosa che mi faceva male, eppure non sarei riuscita a uscire da quel luogo senza aver comprato i biscotti o gelati che desideravo. A volte mi sembrava realmente che qualche demone interiore mi stesse sabotando. 

(Leggi anche: Chi è il mangiatore compulsivo: come riconoscerlo?).

 

È realmente colpa nostra?

 Non avevo del tutto torto. Infatti in quel caso la scelta non riguarda la forza di volontà o meno, semplicemente si ha una perdita di controllo in cui ci sembra di non poter decidere sui nostri movimenti e le nostre azioni.

 Chi lo ha provato sa che può essere una sensazione davvero frustrante, e contribuisce ad aumentare il nostro senso di colpa e i nostri presunti fallimenti. 

Ma se a un nostro amico viene diagnosticata una malattia, non ci viene in mente di dirgli che è colpa sua. Allora perchè dovremmo continuare a incolpare noi stessi per quello che è effettivamente un disturbo?

 

Qual è l’origine dei comportamenti impulsivi?
Cosa dice la scienza

La ricerca scientifica ci dice che in persone con comportamenti impulsivi legati al cibo vi è un’alterazione di alcuni circuiti neuronali che altera la possibilità, in certe condizioni di attivazione, di prendere decisioni coerenti al nostro benessere, con una conseguente incapacità di controllo sui comportamenti che pure siamo in grado di riconoscere come dannosi. Questo vuol dire che le persone prediligono una ricompensa immediata nonostante le conseguenze negative in futuro (Leggi anche: Food craving: da cosa dipende l’inarrestabile voglia di cibo). 

 

Viene prima l’abitudine o il collegamento neuronale?

 Quindi sono i nostri comportamenti ripetuti che hanno innescato il cambiamento neuronale o viceversa? In realtà è inutile cercare una risposta, perché oggi sappiamo che i nostri comportamenti e la nostra base biologica sono strettamente legati e si influenzano a vicenda. A loro volta i nostri comportamenti impulsivi potrebbero aver avuto origine da un evento traumatico, o essere stati appresi in famiglia. Inoltre oggi sappiamo che alcuni cibi, come gli zuccheri, possono innescare una vera e propria dipendenza.

Quindi, probabilmente c’è una base biologica nel nostro non riuscire a decidere per il meglio e in quella sensazione di perdere in controllo, ma non è qualcosa che si può sistemare con la buona volontà, o con una dieta. Probabilmente non basterà. 

 

Possiamo spezzare la catena?

Un approccio integrato al nostro problema dovrà comprendere un percorso psicoterapeutico, mindfulness, e, se necessario, un supporto farmacologico. Ovviamente anche un riordino alimentare e dell’esercizio fisico non compensativo. Ma forse non possiamo spendere migliaia di euro ed è per questo che forse ha senso investire prima di tutto nel nostro benessere mentale. La dieta e l’esercizio non saranno costanti se prima non lo siamo noi. Infatti sarà capitato a molti di noi di iniziare una dieta ed essere entusiasti all’inizio, ma al primo crollo emotivo abbandonarla nuovamente. Per questo lavorare su noi stessi con la psicoterapia e la mindfulness, che è un’ottima combinazione, potrà innescare quel cambiamento che si tradurrà anche a livello psicofisico.

 

Come può aiutare la mindfulness

Ciò che darà risultati più duraturi nel tempo è dedicare qualche minuto giornaliero alla meditazione. Per alcuni potrebbero bastare anche solo dieci minuti al giorno. L’idea è quella di dedicarci al respiro e a cogliere l’emergere delle nostre sensazioni per qualche momento.
(Leggi anche:
Il potere semplice del respiro)

Questo esercizio, anche breve ma mantenuto nel tempo, potrebbe portare dei
grandi cambiamenti. Innanzitutto perché apre uno spazio per noi, uno spazio non giudicante in cui non ci colpevolizziamo più per i nostri comportamenti. 

 

I benefici della meditazione 

Poi, a lungo andare, la meditazione ci permette di riconoscere il continuo flusso dei nostri pensieri. Cominceremo a vedere i pensieri emergere e passare, finché un giorno sapremo che possiamo anche non seguirli. In quel momento capiremo che abbiamo di nuovo la possibilità di scegliere, e magari per una volta non cederemo all’impulso degli scaffali del supermercato o della tavola. E quella prima volta potrebbe essere l’inizio del nostro percorso di “guarigione”.