Perfezionismo e fame emotiva: quando il bisogno di essere impeccabili ci affama dentro
Nov 16, 2025
Il perfezionismo nasce dal bisogno di sentirsi al sicuro, ma finisce per nutrire la fame emotiva. Più ci sforziamo di controllarci, più ci allontaniamo dalla parte viva e imperfetta di noi. Solo accogliendola possiamo ritrovare pace — e libertà.
La ferita del “mai abbastanza”
A molti di noi è stato insegnato che per essere amati dovevamo essere perfettə, non dare fastidio, non sbagliare mai.
Da bambini abbiamo imparato che l’amore si meritava con la bravura, il silenzio, il controllo. E oggi continuiamo a rincorrere quell’approvazione, cercando di guadagnarci ogni gesto di pace, ogni momento di leggerezza.
Il perfezionismo non è virtù: è paura travestita da disciplina.
Paura di essere giudicati, rifiutati, dimenticati. E questa tensione costante ci spinge a usare il cibo per sedarla, per riempire il vuoto che l’autogiudizio lascia dietro di sé.
Chi vive la fame emotiva conosce bene questa altalena: controllo e perdita di controllo, sforzo e colpa. È una danza estenuante che ci tiene lontani da noi stessi.
(Leggi anche Alessitimia e disturbi alimentari: quando “non sentire” fa male anche a tavola)
Quando la perfezione diventa anestesia
Il bisogno di controllo nasce spesso da una ferita profonda: la convinzione che “così come sono” non vado bene.
E allora controlliamo tutto — il corpo, il cibo, il lavoro, persino i pensieri — credendo di poter domare la vita con la precisione. Ma la vita non si lascia controllare, e ogni deviazione dal piano riaccende la paura di non valere abbastanza.
Il perfezionismo diventa allora un modo per non sentire. Per anestetizzare la vulnerabilità, la rabbia, la tristezza. Ma ciò che non sentiamo, prima o poi, trova un’altra via per esprimersi: spesso attraverso il corpo e il cibo.
(Scopri di più in Perché riconoscere le cause del tuo disturbo alimentare può esserti d’aiuto)
Il cibo come tregua dal giudizio
Quando l’autostima dipende dal risultato, ogni errore diventa una catastrofe.
E il cibo arriva come rifugio: offre un sollievo immediato, ma solo per un attimo. Poi torna la vergogna, e il ciclo ricomincia.
Non possiamo guarire dalla fame emotiva finché la misuriamo con le categorie del successo e del fallimento.
Guarire significa accettare di non essere impeccabili, e scegliere la gentilezza al posto della punizione.
Significa guardare l’imperfezione non come una colpa, ma come la porta d’ingresso alla nostra umanità.
(Approfondisci in Emotional Eating: in cosa consiste davvero)
La libertà di essere imperfetti
La Mindfulness ci aiuta proprio a questo: a riconoscere la voce del perfezionismo e a lasciarla andare.
Restare presenti anche quando cadiamo, senza trasformare ogni inciampo in un giudizio, è un atto di coraggio.
Ogni volta che scegliamo la tenerezza al posto della prestazione, qualcosa dentro si scioglie: il corpo si alleggerisce, il cuore si distende, e la fame perde potere.
Non dobbiamo diventare perfetti per guarire.
Possiamo solo imparare a restare, così come siamo, nel pieno della nostra imperfezione.
È lì che la vera pace ricomincia e la fame che non è fame si placa.
Riferimenti scientifici
- Hewitt, P. L., & Flett, G. L. (1991). Perfectionism in the self and social contexts: Conceptualization, assessment, and association with psychopathology. Journal of Personality and Social Psychology.
- Shafran, R., Cooper, Z., & Fairburn, C. G. (2002). Clinical perfectionism: A cognitive–behavioural analysis. Behaviour Research and Therapy.
Neff, K. D. (2003). Self-Compassion: An Alternative Conceptualization of a Healthy Attitude Toward Oneself. Self and Identity.