Accedi

Le vecchie convinzioni sono la causa della tua voglia di cibo?

fame emotiva massimo tomassini Dec 15, 2020
Breaters_Le vecchie convinzioni sono la causa della tua voglia di cibo?

Cosa c’è di più corporeo del mangiare?  Cosa è più legato al nostro essere corpi, partecipi di un mondo vivente (animale e anche vegetale) che deve, appunto, alimentarsi per rimanere in vita?

Mangiare per vivere
Mangiare e vivere sono talmente legati da essere quasi indistinguibili. Tutto però diventa difficile quando al posto della vitalità ingenua dell’umano che mangia per vivere si manifestano gli aspetti  più deleteri (o quantomeno mortificanti) dell’“essere umani”, quando siamo cioè assoggettati alla compulsione, in questo caso alimentare, causata da convinzioni e abitudini inconsce

 Abitudini inconsce

Molte di queste convinzioni e abitudini si iscrivono nel corpo fin dalla nascita e dai primi periodi di vita, attraverso la relazione primaria (madre-bambino), e il rinforzo di predisposizioni culturali esplicite nei contesti in cui la bontà della mamma (o della figura adulta di accudimento) si misura con il metro del cibo. (“Mangia, a mamma” e il cucchiaio che ingozza affettuosamente il piccino).

Cibo e amore

In queste situazioni, dare e ricevere amore significa dare e ricevere cibo. Molto amore: molto cibo. Questi fenomeni culturali, nella continuità tra mente e corpo, danno l’imprinting anche processi neurobiologici e psicologici individuali. 

Eccessi o privazioni d’“amore”

La pulsione inconscia verso il nutrimento materno “buono e tanto” si trasforma in spinta a ripetere nella vita adulta quel tipo di esperienza.  Salvo presentarsi con il segno opposto nell’anoressia, sotto forma di rifiuto e annientamento.

Su questi fenomeni fanno leva l’industria dell’alimentazione e le sue propaggini domestiche (la nostra cucina) per riprodurre convinzioni e abitudini incentrate sulla voglia di cibo. Voglia che asseconda i momenti felici dell’esistenza, o voglia che  colma il vuoto dei momenti peggiori, quando dal corpo si dipartono segnali che richiedono di placare ansie, frustrazioni, difficoltà.

(Su questo argomento leggi anche: Chi è il mangiatore compulsivo: come riconoscerlo.)

Psiche e cibo

Tutto ciò è ben noto sul piano delle dinamiche psichiche, ed è materia di terapie che funzionano nella misura in cui smascherano convinzioni e abitudini ripercorrendo le catene significanti di tali dinamiche.  Lungo le quali i vari equivalenti di “mangia, a mamma” e tutto ciò che ne deriva si inanellano in serie lunghe e multiformi da cui il soggetto cerca di liberarsi.

La meditazione “lavora” ad un altro livello

La pratica meditativa lavora su un altro piano (su questo argomento leggi anche: Il potere semplice del respiro). Spinge a un sentire che solo in parte può mettersi in parole e che può condurre all’identificazione di verità affondate nella mente-corpo ma offuscate, “ottuse”, dal rumore di fondo della mente e dallo sviamento generato da abitudini e convinzioni radicate. 

Il silenzio della pratica può portare alla luce queste abitudini e convinzioni, e può fare emergere le micro-verità individuali annegate nell’impasto di falliti sforzi di volontà (“devo interrompere questa abitudine”) e resistenze che sembrano insormontabili (“non posso non farne a meno. C’è qualcosa che mi spinge inesorabilmente a ripetere questo comportamento disfunzionale”). 

La via della consapevolezza 

Guidata da retta consapevolezza e dalla comprensione dei limiti del sé (e della stessa coscienza), la meditazione può condurre al riposizionamento di tutto ciò. Anche la questione del cibo potrà apparire in modo diverso: come prodotto di abitudini e convinzioni che possono essere lasciate andare. 

Per giungere a questo risultato, lo sforzo non deve indirizzarsi allo scopo (smettere di mangiare compulsivamente) ma al comprendere compassionevolmente la sofferenza (il dolore provocato dal rimanere bloccati nella ripetizione di abitudini e convinzioni dannose).