Procrastinazione e fame emotiva: la paura che ci blocca e ci spinge al cibo
Oct 12, 2025
Ti è mai capitato di rimandare un compito importante, di distrarti mille volte… e poi trovarti davanti al frigorifero? Non sei pigro, e non è solo mancanza di volontà. Quello che chiamiamo procrastinazione è spesso la risposta a una ferita antica: la paura di non farcela, di non essere abbastanza.
Quando la paura di fallire è troppo grande, il nostro sistema nervoso preferisce proteggerci: ci blocchiamo, rinviamo, ci rifugiamo in attività che ci danno sollievo immediato. Una di queste è consumare il cibo come ricompensa.
Non è pigrizia: è paura
Le ricerche mostrano che la procrastinazione è legata più alla regolazione emotiva che all’organizzazione del tempo. Non rimandiamo perché non siamo disciplinati, ma perché ci confrontiamo con emozioni spiacevoli: ansia, insicurezza, senso di inadeguatezza (Sirois & Pychyl, Personality and Individual Differences, 2013).
Per un attimo, non iniziare ci illude di non poter fallire. Ma questa strategia ha un costo: ci sentiamo in colpa, lo stress aumenta.
Se vuoi approfondire come la fame emotiva si manifesta nei momenti critici, puoi leggere l’articolo che trovi sempre sul blog Fame emotiva: come fermarsi un attimo prima?.
Il cibo come anestetico
In questo vuoto e in questa blocco generato dalla paura entra la fame emotiva. Il cervello, sotto pressione, cerca una gratificazione rapida: il cibo attiva i circuiti della dopamina e del sistema della ricompensa, calmando momentaneamente la paura e il senso di colpa (Volkow et al., Nature Reviews Neuroscience, 2017).
Il meccanismo diventa circolare: procrastino → mi sento incapace → mangio per consolarmi → mi sento ancora più in colpa.
Un ulteriore approfondimento utile si può trovare l’articolo Smettere di mangiare (troppo): il sogno possibile, che parla del cibo come compensazione emotiva oltre il semplice atto di mangiare.
Una ferita che viene da lontano
Molte volte questa dinamica ha radici nei primi anni di vita: esperienze di giudizio, del sentirsi non visti o non all’altezza. In quei momenti abbiamo imparato a proteggerci evitando i rischi e, quando la tensione diventava insopportabile, rifugiandoci nell’unico rimedio che sembrava funzionare: il cibo.
Il legame tra emozioni e cibo è antico, profondo, e spesso poco indagato. Nell’articolo Tutto quello che non sappiamo sulla fame si spiega come diverse forme di fame non “fisiche” (fame degli occhi, fame del cuore) possano derivare da vissuti interiori complessi.
La via di uscita: consapevolezza e compassione
Non serve aggiungere più forza di volontà. Serve un nuovo modo di stare con le nostre paure. Numerosissimi studi scientifici mostrano che la mindfulness e la self-compassion riducono l’autocritica, aumentano la resilienza e migliorano la regolazione emotiva (Neff & Germer, Journal of Clinical Psychology, 2013).
Non si tratta di eliminare procrastinazione o fame emotiva dall’oggi al domani, ma di coglierne il senso profondo: sono segnali, non colpe. Con il tempo, possiamo imparare a rispondere non più con il rinvio o con il cibo, ma con cura e presenza verso noi stessi.
In sintesi
Procrastinazione e fame emotiva sono due facce della stessa ferita: quella paura profonda di non bastare, di non essere abbastanza, addirittura di non essere degnə di stare al mondo. Riconoscere queste ferite e imparare a rispondere loro con compassione e gentilezza è già il primo passo verso la trasformazione profonda e la “rinascita”. Un percorso di consapevolezza — come quello che proponiamo in Breaters — invita a trasformare questa ferita in un’occasione di incontro con sé stessi, con gentilezz, appunto, compassione e assenza di giudizio.