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Il cibo ti fa sentire al sicuro? Come fosse un amico?

cause e rimedi massimo tomassini Jan 28, 2021
Breaters_Il cibo ti fa sentire al sicuro? Come fosse un amico?

Il cibo è una risorsa essenziale, insieme al respiro e al sonno, il cibo è risorsa essenziale per la sopravvivenza di ogni essere vivente.
Al pari degli altri animali, gli umani sono programmati per procurarsi cibo.
Il cibo è l’elemento che attrae gli stati corporei-mentali più elementari, fin dalla nascita, quando la fame innesca il pianto disperato che chiede immediatamente cibo.  


Quello del cibo è un richiamo naturale

L’imperativo  più essenziale cui soggiace l’umano potrebbe essere ricondotto alla semplice ingiunzione “riproduci la tua vita, evita la fameingerisci cibo”.  

Questa ingiunzione è talmente ovvia che in condizioni normali neanche appare alla coscienza. (Su questo argomento leggi anche: Le vecchie convinzioni sono la causa della tua voglia di cibo

 

Il cibo come “rituale sociale” 

Le regole – sociali, etico-morali, estetiche – che presiedono alla vita associata da sempre avvolgono questa ingiunzione in rituali, modelli di comportamento, abitudini che rimuovono la sua banale tragicità. 

Nella vita associata, civile, il cibo non serve a restare in vita ma a partecipare alla vita

Il mangiare è regola di ogni esistenza, presente nelle più riposte fibre del corpo e nei più lontani recessi della mente e, allo stesso tempo, regolata da abitudini, norme di cortesia, arti culinarie, etc..

 

Obbedire al bisogno di cibo 


Nessuno deve chiedersi se e perché deve mangiare

È la regola più elementare e comune alla quale dobbiamo comunque obbedire, elevata a norma fondamentale in ogni cultura, fino ai livelli più elevati delle religioni nelle quali “mangiare il dio” non è un sacrilegio ma un atto di sublime assunzione della legge e dell’amore divino.  


Il significato familiare del nutrirsi

Mangiare è la regola che sancisce l’appartenenza a mondi di vita elementari e potentissimi, in primis la famiglia quando celebra la propria unità intorno alla tavola, nelle grandi occasioni e nell’umile quotidianità.


Antropologia e cibo

Il grande antropologo Claude Levi-Strauss correla l’origine stessa della civiltà umana al cibo, essendo legata al passaggio dal cibo crudo al cibo cotto con il fuoco. 

Un passaggio grazie al quale l’umano comincia a prendere forma e la vita si assoggetta alla complessa combinatoria delle strutture linguistiche e sociali.


Il cibo “amico” 

Il cibo cucinato diventa più che un amico. Diventa il simbolo più alto dell’amicizia e della sicurezza, nel giunto tra le dimensioni individuali e culturali della vita. (Su questo argomento leggi anche: Non riesco a mangiare senza mangiare troppo)


Quando il rapporto col cibo diventa l’origine di un disturbo? 

In questa chiave ciò che medicina e psicologia designano come patologia o disturbo alimentare si presenta sotto un veste più profonda. 

Rimanda non solo alle dinamiche corporee che si attivano in relazione all’ingestione di determinati cibi e in determinate quantità.   


Il valore emotivo del cibo

Il rapporto col cibo finisce in questo caso per legarsi alle contingenze della vita, alle gioie e ai dolori, agli inciampi e alle delusioni che possono aver innescato un corto circuito non salutare tra “me e il cibo”

Ritrovare la consapevolezza nella relazione con il cibo

La consapevolezza delle dimensioni primordiali del rapporto con il cibo può contribuire a far vedere la questione da un punto di vista più denso, meno apparente, nel quale possono emergere aspetti molto profondi. Per saperne di più, leggi anche l'articolo "Perché si parla tanto di Consapevolezza?".

 

Dove si nasconde l’eccesso?

Il cibo è amicizia? È il luogo dell’incontro? È convivialità?   
Certamente sì. Come umani non possiamo che rispondere sì.  
Ma non è escluso che in noi si annidino residui primordiali di rapporto con il cibo senza mediazioni culturali. Laddove l’“amicizia” può facilmente  tramutarsi in aggressività, in ostilità, in aggressività, in divoramento.Forse nella chiave di questa riemersione del primordiale che è in noi possono essere lette molte abbuffate notturne. Solitarie, disperate,  distruttive, vendicative.  

 

Meditazione come via di pacificazione con noi stessi e il cibo

La pratica meditativa può metterci sulle tracce di questi strati profondi.
Molto importante, da questo punto di vista, è il calarsi nel corpo, il sentire il corpo, che caratterizza le prime fasi della pratica. 
Le fasi che ne garantiscono il carattere non-cognitivo (“non sono qui per capire”) e non strumentale (“non sono qui per dimagrire”) ma intuitivo (“sono qui per ascoltarmi davvero, a partire dall’andirivieni del respiro”).


Ritrovare la sacralità del corpo per sedare la fame emotiva 

In questo sentire il corpo, superando per quanto possibile il chiacchiericcio della mente e le ingiunzioni dell’io e della cultura, possono emergere aspetti completamente rimossi in cui il corpo è avvertito come prodotto di un cibo acquisito non per via di amicizia ma, al contrario, per via di violenza e sopraffazione.

In ipotesi, questo tipo di insight potrebbe giovarsi di una pratica molto semplice, tutta centrata sul corpo.  (Su questo argomento leggi anche: Diventare spettatori della propria fame emotiva).

 

Meditare è ritrovarsi nel corpo con semplicità

“Qui c’è un corpo seduto. Questo corpo è fatto di pelle, muscoli, organi interni, ossa. Questo corpo vive grazie all’assunzione di cibo. 

Com’è questo cibo? Da dove viene?  Come lo consumo? ”. 

Forse queste semplici formule di stimolo alla consapevolezza possono supportare lo “stare con ciò che c’è” che è il tratto più proprio della  pratica meditativa, smettendo di confondere il bisogno primario di nutrirsi e il piacere legittimo del cibo con l’eccesso, o al contrario la privazione, il cibo usato come mezzo auto-punitivo e distruttivo, anziché come fonte di buona energia per la vita come è nella sua natura.