Alessitimia e disturbi alimentari: quando non sentire fa male (anche a tavola)
Sep 10, 2025
C’è una parola difficile da pronunciare, ma molto più diffusa di quanto immaginiamo: alessitimia.
Significa, letteralmente, "assenza di parole per le emozioni". Ma chi vive questa condizione non è solo poco alfabetizzato in quanto a comunicare le proprie emozioni : spesso non gli è stato insegnato a riconoscerle, a sentirle, ad attraversate davvero.
E a volte, le porta nel piatto e le tiene a bada col cibo.
Cosa c’entra con il cibo?
Molto.
Perché se non so dare un nome a quello che provo, se non riesco a distinguere una tristezza da una rabbia o una paura da un bisogno d’affetto, e oltretutto le scambio per fame, è molto più facile che finisca per usare il cibo come regolatore emotivo.
Magari mangio per consolarmi, ma non so di aver bisogno di consolazione.
Mangio per calmarmi, ma non ho riconosciuto l’ansia che cresceva dentro.
Mangio per non sentire… ma non so nemmeno cosa sto evitando.
Ne abbiamo parlato anche in questo articolo:
👉 Fame emotiva: come fermarsi un attimo prima
Io ci sono passato
Nel mio libro Ho mangiato abbastanza ne parlo in modo diretto: per anni ho avuto un rapporto disfunzionale col cibo, e solo tardi ho capito che prima di smettere di mangiare troppo, dovevo iniziare a sentire davvero.
E no, non è facile.
Per chi è dotato di Alta Sensibilità, o al contrario ha imparato da piccolo a zittire le emozioni, sentire può fare paura.
Ma è lì che si gioca la differenza: non tra chi ha emozioni e chi no, ma tra chi le riconosce e chi le reprime.
Come si manifesta l’alessitimia?
Non è una malattia.
È una difficoltà nella consapevolezza emotiva, che può presentarsi in forme diverse:
- faticare a riconoscere le proprie emozioni
- non riuscire a distinguere ciò che è fisico da ciò che è emotivo
- avere un linguaggio emotivo povero o meccanico
- vivere le relazioni in modo confuso o rigido
Spesso chi ne soffre ha un mondo interiore ricco ma non accessibile.
E il corpo allora diventa l’unico strumento per esprimersi: con la fame, la stanchezza, il sonno, il cibo, la pelle.
In questo senso, l’alessitimia è considerata uno dei fattori predisponenti ai disturbi del comportamento alimentare, come indicano diversi studi (ad esempio: Taylor GJ, Bagby RM. New Trends in Alexithymia Research. Psychotherapy and Psychosomatics, 2004).
Perché è importante parlarne nei disturbi alimentari?
Perché non si può regolare ciò che non si riconosce.
La fame emotiva – quella di cui parliamo spesso su Breaters – non è solo una “cattiva abitudine”. È spesso la risposta automatica a emozioni che non sappiamo nominare.
Ecco perché nel nostro percorso ti invitiamo, fin da subito, a usare strumenti come:
- il diario alimentare ed emotivo, per fare chiarezza su ciò che senti prima, durante e dopo i pasti
- gli esercizi per imparare a sentire il corpo, perché spesso è il corpo a parlare prima della mente
- le pratiche di mindful eating e consapevolezza nel quotidiano, per allenare una presenza gentile
Non per diventare “bravi” a mangiare.
Ma per diventare alleati di noi stessi.
Mindfulness: non solo tecnica, ma rivoluzione silenziosa
Quando guido le meditazioni, non ti chiedo di rilassarti.
Ti invito a restare con ciò che c’è. Anche se confuso. Anche se scomodo.
È questo il primo passo per trasformare un boccone emotivo in una domanda vera:
“Di cosa ho davvero bisogno adesso?”
Non è colpa tua, se non sai sentire
Voglio dirtelo chiaramente: non è colpa tua se hai imparato a zittire le emozioni.
Forse da piccolo nessuno ti ha insegnato a nominarle.
Forse sono state troppo forti, o troppo invisibili.
Ma si può reimparare.
Si può ricominciare a dare voce, corpo, respiro a quello che abbiamo dentro.
E il cibo può diventare, finalmente, un alleato e non un rifugio.
Se ti ritrovi in queste parole, sappi che non sei solo.
Parlarne è già parte della cura.
E il percorso – come sempre – si fa un passo alla volta.